OKLAHOMA / NARARACHI - Cabanzo 2012, video-installment project
FRANCISCO CABANZO
(photography, videoart, sculptures, installation)
LANCE HENSON
(poems)
FEDERICO LANCHARES
(documentaries)
“words from the edge”, documentary, short footage (7 min. digital colour). Direction: Federico Lanchares & Lance Henson. Direction and research assistance, script co-author: Francisco Cabanzo. Camera: Carlos Vasquez. Sound Technician: Luciano Specos, Sound Assistant: Giuseppe Griffone. With the participation of poets: Lance Henson (Cheyenne), Laura Tohe (Navaho), Kateri Akiwensie-Damm (Anishinaabe). Production: POCS Barcelona. Selected 32nd AIFISF - American Indian Film Festival, San Francisco (USA), 2007.
"impressions form peyote road”, Short footage documentary (20 min. digital colour). Direction, sound and camera: FedericoLanchares. Edition: Clara Andrich. Direction and research assistance, script co-author, back-stage photographer, production manager: Francisco Cabanzo. Participation: Lance Henson (Cheyenne). Selected OVNI-Archives, Barcelona (Spain), 2009.
Mostra
"HAERETICI"
Castello Svevo-Aragonese
Barletta, Italia
Curatore: Antonino Foti
Allestimento: Antonio Paolillo, Giuseppe Paolillo
2011-2012
Allestimento: Antonio Paolillo, Giuseppe Paolillo
2011-2012
BREVE INTRODUZIONE ALL’OPERA
L’installazione Oklahoma –
Nararachi, è l'espressione simultanea dei paesaggi realizzati dai tre autori,
Francisco Cabanzo, Lance Henson e Federico Lanchares percorrendo insieme la
strada del peyote (peyote road). Si tratta dunque di un viaggio attraversando
il tempo e i luoghi dove e trascorsa la vita del poeta cheyenne Lance Henson,
giuda di questo percorso. La vita di Henson e stara tracciata dagli
insegnamenti, i rituali e le cerimonie del cactus sacro americano. L’opera per
la tematica può essere sinonimo di turismo di avventura, di frontiera e di
scoperta del selvaggio Ovest, di esplorazione, di transito interiore e mistico,
o soltanto la semplice tracia dell’attraversamento di uno spazio tra due luoghi
negli Stati Uniti e il Messico.
ANTECEDENTI
Questo viaggio attraverso l’arte per
i paesaggi del peyote comincia molto prima del nostro, inizia per occidente nel
1500 quando il prete SAHAGUN
scrisse le sue cronache nel periodo della conquista. Dopo, nel 1894 l 'antropologo CARL
LUMHOLTZ scattò le prime fotografie dei nativi in una spedizione alla
Sierra Tarahumara. Nel 1910, WASSILY KANDINSKY
scrisse: "Lo spirituale nell'arte". Durante gli anni 30 del secolo
scorso, lo scrittore surrealista ANTONIN ARTAUD
viaggiò alla Sierra Tarahumara, e raggiunse Nararachi venendo dall’Europa alla
ricerca di una magia che per lui la cultura europea moderna e cattolica aveva
perso. Nel 1939, lo scrittore JOHN STEINBECK
realizza un viaggio per le autostrade Nordamericane, attraverso la mitica Route 66 passando per Oklahoma, e
scrisse "Mother Road".
Questo libro diventò l’argomento con cui nel 1940 fu tratto il film diretto da JOHN
FORD. Nel 1949, lo scrittore e fotografo JUAN
RULFO pubblicò un lavoro documentario fotografico realizzato in modo
creativo per riferire nei suoi scatti le istantanee del Messico rude e
profondo. JACK KEROUAC
nel 1959 pubblica "On the Road, " un romanzo che ha influenzato
un'intera generazione della cultura contemporanea americana, la stessa di Bob
Dylan. Negli anni 60, i membri della “Beat
Generation” nella letteratura americana di WILLIAM
BURROUGHS e PAUL GINSBERG
che percorsero la strada del yajé
scrivendo “le lettere dell’yajé”. I letterati furono seguiti da artisti visuali
come STAN BRAKHAGE o BRUCE
BAILLI tra molti altri, tutti impegnati in una linea di ‘cinema
sperimentale’ mirata a sviluppare l’esperienza dell’estasi dando luogo all’
"cinema trance", ed alla posteriore formazione del gruppo “Canyon
Cinema” di San Francisco.Il semiologo ROLAND BARTHES
scrisse "L’Impero dei segni" nel 1970, in esse fu centrale
la questione della trascendentalità del poema “haiku” giapponese. PAUL
SCHRADER sceneggiatore di Apocaypse
Now, nella sua tesi di laurea del 1972 presenta la ricerca "Cinema
Trascendentale", risultato dello studio dell’opera dei registi DREYER,
BRESSON e OZU.
Nel 1982, lo scrittore JULIO CORTAZAR,
come esercizio letterario, realizzò un viaggio con la sua compagna per le
autostrade della Francia. Vissero 32 giorni senza lasciare l’auto, dando
origine al libro "Gli Argonauti del cosmo-strada". Tornando al
cinema, Route One USA del 1989 il
documentario diretto da ROBERT KRAMER,
registrò in modo filmico suo percorso per le strade dell’Est (Route 1) viaggiando dal sud degli Stati
Uniti d'America, verso il nord fino al confine canadese.
Arrivammo a JOSEPH BEUYS
chi durante la seconda guerra mondiale dopo un incidente aereo, fu salvato e
curato dai nativi della Crimea; dall’esperienza vissuta scaturì il lavoro che
lo portò ad essere riconosciuto dalla critica come “lo sciamano dell'arte
contemporanea”. Nel 1997, RAYMOND DEPARDON
cineasta francese impiegò il viaggio come strategia creativa per realizzare
documentari concepiti come opera d’autore. Nel periodo compresso tra gli anni
90 del secolo scorso e il primo decennio del secolo attuale, l'artista BILL
VIOLA viene sviluppando nelle sue installazioni che definisce come
appartenenti alla corrente dell'arte visiva trascendentale, adottando un
linguaggio audio-visivo spaziale.
Tutti questi riferimenti appaiono sparsi e apparentemente
scollegati tra di loro sono cui raccolti a modo di riferimento per fornire
alcune piste per approfondire i concetti fondamentali del arte trascendentale,
concetti utili ad affrontare l’esperienza del viaggio e della trance nella
cultura americana contemporanea, inserendolo in un contesto sperimentale ed
esploratorio più ampio dell’arte contemporanea dove il viaggio viene concepito
come un modo per avvistare il confine tra il mondo reale e il mondo metafisico,
la contemplazione e l’introspezione.
MOTIVAZIONI
Nel 1998 Cabanzo aveva viaggiato in Spagna per realizzare studi dottorali, veniva dalla Colombia, dove negli anni 90 visse un’esperienza di cura con medicina tradizionale con i nativi “Inga”, appartenenti alla cultura della pianta allucinogena dell’yajè (Ayahuasca) nella foresta del Putumayo. Dopo questa esperienza scaturisse una profonda crisi identitaria che mise in discussione l’educazione formale occidentale ricevuta da età infantile fino alla formazione universitaria, arrivando a sovvertire il suo percorso artistico. Una educazione al servizio dell’acculturamento ed il colonialismo l’avevano portato a diventare un forestiero nella propria terra, uno straniero di se stesso. Parti a Barcellona dove iniziò gli studi, volendo tornare nelle foreste dell’Putumayo e nelle montagne degli Ande, sulla la strada della medicina del yajè e la coca tradizionale. Purtroppo dovete rinunciare a causa del conflitto civile tra guerriglia, esercito, narcotraffico e paramilitarismo per il controllo dei territori della coca e il papavero di esportazione illegale.
Viaggiando in Italia, Cabanzo
conobbe il poeta Henson, cheyenne nativo di Oklahoma, ballerino del Sundance, guerriero dogsoldier con cui vedendo le confluenze identitarie condivise la
sua preoccupazione per il forzato esilio, e l’impasse del suo lavoro. Henson
arrivato a età matura ed iniziando la vecchiaia, voleva lasciare una
testimonianza di gratitudine per la medicina del peyote che lo aveva
accompagnato tutta la sua vita. Invitò Cabanzo a viaggiare assieme nelle
pianure del Nord America, per la strada del peyote. In quegli stessi anni
Lanchares il regista argentino era stato in Messico. Arrivato a Barcellona dopo
aver lavorato in Argentina con comunità native filmando il carnevale di Jujuy.
Lanchares interessato alle piante allucinogene ed al cinema trance, ispirato
negli scritti di Antonin Artaud era andato alla sierra Tarahumara per redire la
sceneggiatura di un documentario sul “sipaame”,
Felipe Flores lo sciamano di Nararachi.
Avendo conosciuto Henson e
Lanchares, Cabanzo concepisce la possibilità di realizzare un progetto comune
ed organizza un incontro a Barcellona. Da questo incontro a tre, scaturisse un
processo documentario creativo comune: Il poeta Henson, guida, protagonista,
doveva registrare le sue impressioni in un diario di poesie, Cabanzo
responsabile della ricerca preliminare e la produzione doveva realizzare il
registro fotografico e autista, mentre restava a Lanchares il compito
dell’registro cinematografico di questo viaggio “on the road”. Ognuno quindi
esprimendo le sue impressioni con il proprio linguaggio.
La prima fase del lavoro svolta in
Europa nel 2006, portò i tre accompagnati da una troupe tecnica equipe ad
accompagnare Henson e due altre poetesse native americane in un tour per
diverse città in Italia, Il risultato è stato un documentario, un cortometraggio:
"Parole dall’orlo" (words from
the edge). La seconda fase del lavoro fu realizzata nel 2007, coincise con
la presentazione del primo documentario che fu selezionato a partecipare nel
Festival di Cinema Nativo Americano di San Francisco (FAISF, 2007, San
Francisco, USA), e portò i tre artisti in un viaggio partendo dalle pianure del
Nord America fino alle montagne di Messo America. Il viaggio Oklahoma, Texas,
Arizona, New Mexico, California e Chihuahua sboccando nel secondo documentario
di un trittico ancora in processo il cui secondo elemento e stato il
documentario “impressioni della strada del peyote (Impressions from peyote road). Selezionato al Festival OVNI di
Barcellona 2008, i poemi , le fotografie
e sequenze di video arte, le vetrine ed oggetti sono inedite ed appaiono cui in
questa installazione per la prima volta.
OKLAHOMA-NARARACHI nasce dalla
esperienza e la consapevolezza di essere americani, meticci, persone con una
cultura in divenire e sotterranea, marginale, sopravissuta soltanto in modo
sincretico: Non possediamo tempo né luogo, spazio ne corpo. Siamo vagabondi,
alieni, emarginati, arrangiati, espropriati, impuri, incerti, contraddittori.
Figli allo stesso tempo degli oppressi e degli oppressori, dei possedenti e
degli sfrattati. Identità mista e contraddittoria, piena di ambiguità, in
condizione precaria ed effimera, frutto dell’adattamento e l’ibridazione, la
contaminazione e l’azione creativa del perder-si e abitare l’altro con i propri
universi di senso e i sensi come pelle delle viscere, tutto al servizio di una
tattica di resistenza. Il filo comune resta la conoscenza delle piante,
l’autocoscienza attraverso la savia delle piante sacre d'America guidati dagli
uomini della strada (road-men), taitas, curacas, mamos, sipaames, medici tradizionali, stregoni, maghi, sacerdoti, sciamani. Una linea sulla
mappa, un album di viaggio multimediale,
emozioni testimonianza, immaginazione. Paesaggi che vanno oltre i limiti
di spazio fisico e portano verso paesaggi interiori: il paesaggio dell’al di
là.
Il progetto frutto della coscienza
di essere meticci americani, stranieri in terra di altri e nella propria pelle.
In transito, in divenire, di natura sotterranea, spinti dall’esilio e la
migrazione, la diaspora e la segregazione, lo spostamento continuo dei confini.
Possedenti di una identità in transito, marginale, sopravissuta soltanto in
modo sincretico: la dove il percorso della vita diventa metafora del viaggio:
Noi non possediamo né tempo né luogo alcuno, viaggiatori, vagabondi, alieni,
emarginati, indocumentati, clandestini. Arrangiati muniti soltanto dalla spinta
dell’impulso creativo. Impuri, incerti, contraddittori, figli allo stesso tempo
degli oppressi e degli oppressori, dei possedenti e degli sfrattati, generatori
d’identità mista e contraddittoria, piena di ambiguità quindi percepita come
transitoria ed effimera da manifestare nello spazio e nel tempo, e nei paesaggi
in modo sincretico. Tradizionali e locali al contempo che contemporanei e
moderni occidentali, popoli di nicchia e abitanti del villaggio globale.
Opposti alla strategia dell’affermazione, si propone la tattica della contaminazione e l’azione creativa del perder-si e abitando l’altro con i propri universi di senso e di sensi come pelle delle proprie viscere, servi della resistenza. Tre artisti di tre luoghi diversi d’America, tre diverse discipline artistiche, tre diverse storie di vita, tre percorsi di un unico viaggio. Il filo comune la coscienza attraverso le piante della conoscenza, autocoscienza attraverso l’arte trascendentale.
Attraverso i dispositivi tecnologici multimediali e le tecniche
dell’arte sperimentale, un ponte tra realtà e fantasia, tra reale e virtuale, tra artista e spettatore, tra
paesaggio interiore e paesaggio percepito. Contrappunto oscillante tra le due
estremità della tradizione negata e post-modernità fallita. Oklahoma-Nararachi
una linea sulla mappa, un album di viaggio multimediale, emozioni
testimonianza, immaginazione, estasi, introspezioni, ricordi, tracce. Paesaggi
che vanno oltre i limiti di spazio fisico e portano verso paesaggi interiori,
verso i paesaggi dell’al di là.
CREDITI E RINGRAZIAMENTI
Ringraziamenti e crediti d'autore al
poeta Lance Henson (Cheyenne) e al documentarista Federico
Lanchares per i loro contributi professionali ed artistici; Chiara
Andrich nell’edizione e montaggio, Carlos Velasquez
cinepresa, e Luciano Specos
(tecn. suono) nele location Italiane; alle poetesse native Kateri
Akiwenzie Damm (Anishnabe), Laura
Tohe (Diné), per le poesie e le interviste; a Roma
Rent Appartment e Giuseppe
Grifone per la logistica a Roma, all'Associazione Huka
Hey di Pordenone per il sostegno economico e logistico alla
produzione documentaria in Italia.
Ringraziamenti a Johnny
Whitecloud (roadman Cheyenne) e Michael
Whitecloud e suo nipote, per la sua ospitalità
nella cerimonia del peyote guidata da lui; Randy Snead
nel bagno rituale di vapore il giorno dei Veterans
Day; grazie a Quinton Roman Nose,
e Gordon Yellowman
dell’dipartimento di produzione visiva ed educazione della Comunità
Cheyenne-Arapaho di Oklahoma, per il loro
sostegno istituzionale e ospitalità a Conchos.
Ringraziamenti a Malcom
McAbee (Navajo) apprendista sciamano per la sua benedizione del peyote a
Kayenta, e al suo nonno John Hollidays
nella sua casa di Monument Valley per l’accoglienza; a David
Shorey (Chinle) e Judith Bullock,
sua moglie, per la loro ospitalità e le spiegazioni del giardino del peyote;
agli organizzatori del FAISF 32 American Indian Film
Festival di San Francisco, a Fernando
Mariño, Marta Hinestrosa e Camila
la loro figlia per la ospitalità e gentilezza a Sunny Valley; ringraziamenti a Randy
Burns e Barney Bush,
per la loro guida e sostegno durante tutto il viaggio negli Stati Uniti; grazie
a Elisabet Tejero per il sostegno
finanziario alla produzione e la sua fede nel nostro progetto (Stati Uniti e
Messico).
Grazie a Felipe
Fuentes Chavez (sipaame Tarahumara) e a Felipe Angel (suo
assistente), così come a Gabino Flores
(sipaame Tarahumara) per le
interviste, grazie a José
(direttore della Scuola di Nararachi), Doña Maria Luisa
(Licha), Dona Margarita
(Maggie), Abel, Brenda, Alvaro, Abraham,
Miguel e Marta (infermieri) e la Dottoressa. Cristina di Nararachi; magazzino
Bar-di Ezequiel e di sua moglie (figlia di Gabino),
il Dottore Ken Van Kirk
per l'intervista nella sua clinica, Josefina
(la signora Chepa) per la traduzione (intervista Felipe), grazie a Mario
Jabalera, l'INI, il CDI a Chihuahua, Messico, per le raccomandazioni
istitucionali e supporto di CONACULTA.
Ringrazio ai professori Maria
Jesus Buxo, Jose Maria Barragan e Alberto
Caballero per il loro consiglio e supporto concettuale; a le curatrici Lilian
Amaral e Thais de Siervi
per la revisione attenta del testo dell’progetto; a Daniel
Toso di POCS Association di Barcellona,
per la consulenza tecnica nel allestimento, e il sostegno in fase di pre
produzione; al architetto Alessia Cordisco
per le illustrazioni tridimensionali dell’progetto di allestimento.
Ringrazio Antonino
Foti per la curatoria, Giuseppe Paolillo
e Antonio Paolillo per
l’adattamento ed allestimento del progetto nel Castello di Barletta, a Silvana
Fracasso per le traduzioni dei poemi, a Alfagrafic
per la cura nelle stampe, a Liliana Fracasso
per il montaggio multimediale delle sequenze.
Ringrazio i sciamani (taitas e curacas) Luciano Mutumbajoy, Luaureano
Becerra dell’Putumayo, ai Dottori ed esperti in etno-medicina German
Zuluaga e Alvaro Garcia
in Colombia, loro hanno cambiato la mia strada.
Dedico questo lavoro a mia moglie Liliana de mia figlia Camila e mia madre Cecilia.
FRANCISCO
CABANZO, dicembre 2011
No hay comentarios:
Publicar un comentario