2009/01/31

OKLAHOMA NARARACHI



oklahoma nararachi, paisajes del camino del peyote.
Acaba de terminarse mi trabajo doctoral de investigación titulado "oklahoma-nararachi, paisajes culturales del camino del peyote". En este espacio aparecen solo algunas pocas Imagenes de la videoinstalación. Todashhacen parte del scouting y de las imagenes insertas en la edición del documental "impressions form peyote road" proyecto de un documental (en edición) con el poeta cheyenne Lance Henson y dirigida por el cineasta Federico Lanchares en Estados Unidos de Norteamerica y en Mexico en el 2007. En realidad el trabajo esta en la linea "on the road" acompagnando el poeta contemporaneo cheyenne Henson por los paisajes culturales del caminop del peyoye desde oklahoma en la llanura americana hasta la sierra tarahumara en Mexico.


Los resultados de ese viaje son:
- 1400 imagenes tomadas durante el viaje, las cuales se han tratado en dos formas: una serie en blanco y negro, la superficie plana de los hechos cotidianos; una segunda serie de imagenes de transe e instropección en secuencia tratadas en color.
- 1 facsimil del cuaderno de viaje del escritor Henson con 20 poemas.
- 1 documental de 20 min. en digital filmado y dirigido por Lanchares.


I just finished my arts phD thesis research titled “oklahoma-nararachi, peyote road cultural lanscapes", it is the result of a trip with cheyenne contemporary poet Lance Henson, cinematographer Federico Lanchares, and me taking pictures on the road. A car trip through north American plains the frontier towards Tarahumara canyons in Mexico.

The results of this trip are:
- 1400 images divided in two series, one covering the day by day facts (black and white pictures) and the transe or insight moments (color treated sequences).
- 1 facsimil of the trip notebook with 20 poems written on the road by Henson (facsimil hand-notes on trip book and english transcriptions)
- 20 min documentary (dvd format) filmed by cinematographer Federico Lanchares.




































2009/01/30

PAESAGGIO SONORO
























































































































































francisco CABANZO, gaetano ACCETTULLI, liliana FRACASSO. Foggia, 2008.

L´opera collettiva di videoarte e stata intitolata "paesaggio sonoro" un opera di archeologia urbana imposata come un reperto somporto dei suoni e delle imagini proprie degli ultimi artigiani del quartiere setecentesco della città che stanno scomparendo.
Questa video-istallazione (loop 2 min) e stata allestita nel ipogeo archeologico di Via san Domenico, in ocasione della manifestazione "Giu la Testa".


AL DI LA, LA, LA...

"Al di la
                la,    
                           la, 
                                 la,”

Cabanzo, 2008

Scultura site specific, scala 250x60x240, legno, lastre in compensato di legno, luci led a colori programmate. 


  Ipogeo archeologico di via San Domenico, Foggia, Italia. Opera reallizata in occasione della manifestazione "Giu la testa" negli ipogei della città. Dedicata a Oscar Tusquets, per la sua mostra "requiem a la escalera", cccb de barcelona, al suo maestro di storia ...

Qualche anno fa quando abitavo a Barcellona, visitai una stupenda esposizione al CCCB, una mostra curata dal architetto catalano Oscar Tusquets intitolata "requiem alla scala"[i]. Essa si organizzava attraverso una sorta di percorso labirintico, si percorreva uno spazio poco illuminato, dipinto tutto di colore grigio. La soluzione creava una continuità di penombre, facendo che a misura che ti avvicinavi agli oggetti gli vedevi e finalmente gli si comprendeva, gli occhi dovevano scoprire uno ad uno gli elementi esposti,  come se si trattasse di vaga lumi nella note. Apparivano in vetrine ora in forma di testi e poemi, o appesi nelle pareti in forma di fotografie, o proiettati su schermi o sulle pareti come scene cinematografiche, o come oggetti in forma di quadri famosi, plastici o sculture, senza pero dimenticare le scale in scala uno a uno, riproducevano soluzioni di architetti famosi costruite lungo il percorso in luoghi particolari. Le scale riprodotte erano state dipinte dello stesso colore grigio delle pareti e dei pavimenti, ed erano state illuminate con drammatici, erano scale che ci invitavano a salire e scendere a viverle nello spazio e non più nelle loro rappresentazioni, pero questa volta in modo ludico.
Mia figlia era quasi esorcizzata da questa scenografia cosi eloquente e inusuale, non se ne voleva andare. Io ne anche, ero preso dal discorso costruito, direi non tra le righe, ma tra gradini che Tusquets insinuava:  il senso simbolico, profondamente spirituale, psichico e filosofico e quindi metafisico della scala nella esistenza umana. Partendo da un artefatto funzionale creato per vincere il vuoto tra due piani, uno al di sotto del altro, Tusquets era stato capace di metterci in relazione con la possibili di salire in aria per andare in celo o di scendere e sprofondare nelle profondità degli abissi e le tenebre. Ci fece salire e scendere attraverso tutti i sensi, e i linguaggi dell cinema, la fotografia, la letteratura, la scultura, la pittura e l'architettura. 
Capi quella volta che la vita si svolge tra il buio delle tenebre e lo splendore del cielo, ma l'arte della architettura, della scenografia o delle installazioni scultorie, non è soltanto un arte legato al teatro della drammaturgia o sia al dramma della vita, ma è nelle occasioni più significative legata sopratutto al teatro che si svolge al di la della vita e al di là della morte, cioè li dove il mistero della esistenza non trova spiegazione ma trova il suo vero senso.
Il compito di quest'opera site-specific risponde prima di tutto ad un bisogno pura e meramente funzionale, cioè una volta attraversato il muro che separa due stanze contigue del ipogeo archeologico di Via San Domenico vincere in un modo sicuro l'arco spaziale configurato dalla differenza di due metri d'altezza che esiste tra di loro. Il secondo scopo era quello di far abbassare la testa agli spettatori (giù la testa), di farli inchinarsi leggermente per raggiungere con le loro mani sui corrimani laterali, e piegandosi, cominciare a immergersi nella scala per scendere ma non soltanto, superare una soglia, attraversare un confine,e perfino scomparire dentro della scala stessa, immergerli nella luce cangiante che avvolge chi sviluppa il suo percorso diagonale di discesa o di salita, sentire come i colori compiono una metamorfosi dei loro corpi per dopo fargli usciere avendo superato l'ultimo gradino per lasciarli di nuovo in mezzo alla penombra dove i loro occhi avranno di abituarsi alla foschia per scoprire come arrivare a nuove installazione disposte in mezzo al buio nello spazio sia della stanza superiore che di quella inferiore.




[i] RAMIREZ  Juan Antonio, PINTO Raffaele, BALLO Jordi, QUINTILLA Alejandra, 2004. Requiem por la escalera / Requiem for the staircase Oscar Tusquets Blanca. RqueR, Barcelona.  ISBN 84-933263-0-5



Elogio dell´ombra
"...Vivo tra forme luminose e vaghe che non sono ancora le tenebre.(...)
...Questa penombra è lenta e non fa male;scorre per un mite pendioe assomiglia all'eternità.I miei amici non hanno volto,le donne sono quel che erano molti anni fa,gli incroci delle strade potrebbero essere altri,non ci sono lettere sulle pagine dei libri.Tutto questo dovrebbe intimorirmi,ma è una dolcezza, un ritomo."
J.L. Borges, Poesie (1923-1976), traduzione di Livio Bacchi Wilcock, Bur.


Questi corti versi estratti dal poema intitolato “elogio dell´ombra” del argentino Jorge Luis Borges, scritti da lui nell ocaso della sua vita, quando gia si trovava quasi totalmente privo di visione, fanno possibile imaginare lui in questi ultimi anni della sua vechiaia deambulando nella solitudine delle ombre. E bello il fatto che invece di esprimere un pianto, come metafora della prigionia, Borges in mezzo a questo mare d´ombre confuse, trova in loro dolci carezze, e ad esse si abandona, come se fossero la dolce antecamera del “al di lá”.
Il poema di Borges, riprende quasi testualmente il titolo del livro scritto da Junichiro Tanazaki, “l´elogio dell´ombra”, un testo che riproponevo sistematicamente ai miei alievi d´architettura per spiegare le profonde diferenze tra l´identità dell´architettura giaponese tradizionale e l´architettura occidentale moderna.
Parlando degli utensili e mobili d´arredo tratati con la lacca, Tanazaki spiega:

“ ... erano pensati per una illuminazione bassa; si impiegavano profusamente i dorati, si puó asumere che era pressa in considerazione il modo in cui spunterebbero nel buio dell´ambiente, e la forma in cui rifletterebbero la (morbida) luce delle lampade (candele o lampade ad olio). Perche una lampada decorata con oro macinato, non é stata fatta per essere vista in un luogo illuminato, ma per essere indovinata in un luogo buio, costantemente oculta all´ombra, imersa in una luce difusa che per istanti rivela uno o altro dettaglio dello squisito decorato applicato, suscitando risonanze inspiegabili.”
...quando diammo inizio alla costruzione delle nostre residenze, prima di tutto si svillupa il tegolato come un parasole che determina sul pavimento un perimetro protetto dal sole, dopo, in questa penombra, disponiamo la casa.
... nonostante, al contemplare le tenebre oculte dietro la trave superiore, attorno ad un vaso di fiori, sotto una mensola, e ancor sapendo che si trata soltanto di ombre insignificanti, sperimentiamo il sentimento che l´aria in questi luoghi rachiude in loro l´espessore del silenzio, e che in queste oscuritá regna una serenitá eternamente inalterabile.”



“In´ei raisan” (L´elogio dell´ombra) ChoukoronSha, ed. Giapone 1933.
“El elogio de la sombra” Siruela, España, 1994.(frammenti trad. al italiano, F. Cabanzo








Inchinarsi leggermente per raggiungere con le mani gli scorrimani laterali, abassare la testa piegandosi, cominciare ad immergersi cercando con i passi alternati di seguire il regolare dislivello dosato ritmicamente. Ma non soltanto, articolare il corpo ed il gesto, superare una soglia definita da un piano superiore, un umbrale, e perfino scomparire dentro di essa. Immergersi ed in questo spazio che si svillupa in un percorso diagonale, entrare nella luce cangiante che avolge, sentire come il corpo compie una metamorfosi cromatica. E alla fine, dopo aver superato l´ultimo dislivelo essere lasciati di nuovo in mezzo alla penombra in un´altra dimensione non spazio e del tempo ma dell´esistenza.
Qualche anno fa, ce stata una stupenda esposizione al CCCB di Barcellona, intitolata “requiem alla scala”, una mostra curata dall´architetto catalano Oscar Tusquets. Essa si organizzava attraverso una sorta di percorso labirintico, in uno spazio poco illuminato, dipinto tutto della stessa tonalitá di colore grigio. La soluzione creava una continuità di penombre. A misura che ci si avicinava agli oggetti, essi si rendevano visibili e finalmente stando vicino gli si capiva, ma non prima. Bisognava abituarsi alla scarsa luce, gli occhi dovevano scoprire uno ad uno, come tratandosi di una cacia di vagalumi nella note. Gli elementi esposti apparivano, ora in forma di testi e poemi in vetrine, quadri famosi appessi alle pareti, panelli fotografici, o luce di sequenze cinematografiche proiettate su schermi o paretti; e adiritura come oggetti disposti lungo i percorsi, plastici, sculture... Senza pero dimenticare le scale, in scala ridotta, riproduzioni di soluzioni architettoniche famose ed anonime, propositatamente dipinte dello stesso colore grigio delle paretti e dei pavimenti. Peró, illuminate con dramaticitá, invitando a salir-le, o scender-le. Viver-le in modo ludico con il proprio corpo.
Ero presso dal discorso costruito saggiamente da Tusquets, tra i gradini, non tra le righe. Partendo da un artefatto funzionale si entrava nel merito della richezza formale clasificata per tipologie raccogliendo scale di tutto il mondo attuali ed antiche. Racolta variata di linguaggi e rappresentazioni. Per arrivare infine alle sfumature astratte e simboliche, dove afiora il senso psichico, filosofico o spirituale della scala come metafora della essistenza umana. Una scala per salire in aria e andare in celo, o la stessa medesima per scendere negli abissi delle tenebre. Al dilá della vita, oltre il buio delle profondità ed oltre lo splendore della luce.
Mia figlia di cinque anni all epoca, era esorcizata da questa scenografia divertente, sorpresa credo io, forse si aspetava trovare qualcosa di simile al uscita, nel parco. Pero di certo non nele sale del museo, non se ne voleva andare.

Io ne anche.





































































COLLAR